LA REGOLAMENTAZIONE DELL’ATTIVITA’ SUBACQUEA (riproduzione riservata)

 

1. Introduzione.

 

L’attività subacquea, in apnea o con respiratore, può, in linea di principio, essere esercitata liberamente nel rispetto della normativa generale (ad esempio l’obbligo di segnalarsi con una bandiera rossa con striscia diagonale bianca posta su galleggiante o sulla barca appoggio, ai sensi dell’art. 130 del d.p.r. 2.10.1968, n. 1639 come richiamato dal primo comma dell’art. 91 d.m. 29 luglio 2008 n. 146 e di operare in un raggio di 50 metri da essa o, di notte, come previsto dal comma 2 dell’art. 91 d.m. 146/08 con una luce lampeggiante gialla visibile a giro di orizzonte) e particolare stabilita da alcune ordinanze delle capitanerie di porto ( in merito si veda http://www.liberisub.it/capitanerie.htm ) per il territorio di loro competenza (come ad esempio l’obbligo di tenere a bordo una bombola di ossigeno con idoneo erogatore per il primo soccorso), da regolamenti di parchi ed aree protette marine o da provvedimenti di altre competenti autorità amministrative.

Gli interessati possono quindi immergersi direttamente da riva od utilizzare un’imbarcazione di cui hanno la disponibilità o per cui hanno stipulato un contratto di locazione o di noleggio.

La stipula di un contratto di locazione o di noleggio dell’imbarcazione con il capogruppo è poi frequentemente usata per eludere la disciplina dei centri di immersione e di addestramento subacqueo di cui si scriverà più avanti.

In questo caso, a meno di ritenere sussistente la simulazione del contratto, non sempre però esistente data l’effettività della volontà delle parti, il noleggiatore non avrà alcun obbligo inerente all’attività subacquea ed il locatore, anche ove si trovi a bordo e conduca di fatto l’imbarcazione, non sarà responsabile per i rischi della navigazione, se non nei limiti in cui assuma eventualmente il comando del mezzo.

Di conseguenza la controparte contrattuale, vale a dire il noleggiante od il conduttore, si assume un rischio notevole e spesso, nei casi di gruppi organizzati da negozi, istruttori o club, agisce come erogatrice del servizio completo nei confronti dei componenti del gruppo nei cui confronti stipula dei veri e propri contratti di immersione tutto compreso che la potrebbero esporre a notevoli responsabilità in caso di inadempimento.

A differenza di quanto accade in altre attività sportivo ricreative, ove l’insegnamento è completamente libero o riservato (ma i casi di riserva assoluta sono invero pochi) ai soggetti formati dalle competenti federazioni sportive, per la subacquea siamo attualmente di fronte ad una situazione ibrida caratterizzata, da un lato dall’assenza di una normativa nazionale che riservi l’insegnamento a determinate categorie di persone e dall’altro dall’esistenza di una ventina di organizzazioni didattiche (tre solo per i disabili) che si occupano della formazione dei subacquei che si immergono per scopi turistico – ricreativi (con esclusione quindi degli operatori tecnici subacquei professionali).

Tali organizzazioni didattiche comprendono oltre la Federazione Italiana Pesca Sportiva e Attività Subacquee, organo del Coni, ed altre federazioni aderenti alla Confederazione Mondiale delle Attività Subacquee, organismi, come la PADI (Professional Association of Diving Instructors) e SSI (Scuba Schools International), solo per citare alcuni fra i più diffusi, di derivazione statunitense o unicamente italiani.

Le didattiche c.d. commerciali per distinguerle da quelle federali non sono altro, sotto il profilo giuridico, che società commerciali o, meno frequentemente, singoli imprenditori, che hanno acquistato, normalmente in franchising con esclusiva territoriale, dalla casa madre straniera il diritto di utilizzare un marchio ed un sistema di insegnamento, con la possibilità di modificarlo a secondo delle esigenze europee o nazionali o messo a punto autonomamente, con un proprio marchio, il sistema di insegnamento.

Tali società a loro volta stipulano contratti di franchising annuali o, a secondo dei casi, di sola fornitura di servizi con soggetti titolari di negozi subacquei, istruttori e aiuto istruttori - guide, rilasciando, su certificazione dell’istruttore, il relativo attestato finale o brevetto agli allievi.

I corsi, sia per allievi che per istruttori dei vari gradi, sono regolamentati da standard imposti dalla didattica (che riguardano i requisiti di accesso, le attrezzature da usare e le modalità di svolgimento dei corsi), spesso diversi da didattica a didattica.

Quasi tutte le didattiche riconoscono i brevetti rilasciati da un’altra didattica come idonei per l’ammissione ad un proprio corso di livello successivo e tutte prevedono meccanismi di integrazione in caso contrario.

Il brevetto rappresenta il riconoscimento che l’allievo ha raggiunto gli standard minimi previsti per la fine di quel corso, standard che secondo la rispettiva didattica rispecchiano l’addestramento necessario per poter effettuare quella data tipologia di immersioni caratterizzate quanto a profondità, necessità o meno di effettuare tappe obbligatorie per risalire in superficie (immersioni c.d. in curva e fuori curva di sicurezza), condizioni ambientali (ad esempio notturne) ed uso di particolari miscele respiratorie (aria arricchita di ossigeno o con elio al posto di parte dell’azoto od ossigeno puro) invece che dell’aria.

Attualmente si registra una notevole frammentazione dei corsi, cosicché per essere considerati da una didattica idonei ad effettuare immersioni fuori curva in miscela con elio, occorre prima aver superato circa 5 – 6 corsi, alcuni anche di altre didattiche e lo stesso vale per essere abilitati a richiedere il rilascio dei vari brevetti di una o più didattiche.

Con l’aumento, sul territorio nazionale, dei centri di immersione o diving, vale a dire imprese che offrono ai subacquei i servizi di supporto tecnico logistico (locali per cambiarsi, lavarsi e sciacquare l’attrezzatura, bombole ed altre attrezzature ed accompagnamento nei luoghi di immersione) con immersioni guidate o meno, il possesso, da parte dei clienti, di un idoneo brevetto di una di queste organizzazione didattiche ha assunto sempre più importanza.

Fra gli obblighi a carico del titolare dei diving, oltre quelli di mettere a disposizione servizi come spogliatoio, docce, etc., fornire la bombola carica,  accompagnare i clienti sul posto di immersione con un mezzo idoneo, fornire la guida se l’immersione è guidata, assicurare un adeguato supporto di superficie e riportare i clienti al diving, ci sono infatti anche quelli “di protezione” derivanti dagli artt. 1366 e 1375 c.c.

Di conseguenza il titolare del diving dovrà anche informare il cliente dei rischi dell’attività subacquea e delle caratteristiche del luogo di immersione, onde evitare di portare su un sito subacquei non adeguatamente addestrati per effettuare quell’immersione e aver pronto un efficace piano di emergenza in caso di incidente.

Tali obblighi sono notevolmente semplificati dall’esibizione del brevetto che costituisce una prova qualificata delle condizioni di addestramento del sub e non è raro che, anche ove non sussista l’obbligo legale di verificarne il possesso, venga rifiutata l’erogazione dei servizi a clienti privi del brevetto.

Tale rifiuto appare però ingiustificato qualora l’immersione non sia guidata ma lasciata alla responsabilità del singolo subacqueo. Del tutto arbitrario e passibile di sanzioni quando si tratta di esercizi commerciali aperti a pubblico il rifiuto di locare attrezzatura od effettuare ricariche, anche di miscele, a soggetti sprovvisti di brevetto.

Nella pratica viene anche fatto sottoscrivere al cliente un documento, denominato impropriamente “scarico” che non serve ad esonerare da responsabilità il gestore del diving, effetto impedito, a meno di colpa lieve, dall’art. 1229 c.c., ed anche nel caso di colpa lieve dall’art. 33 del codice del consumo, (D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206), (già 1469 bis c.c.), trattandosi di un contratto concluso fra un professionista ed un consumatore ma a delimitare l’oggetto delle prestazioni del diving (e quindi i relativi obblighi) ed a fornire la prova delle informazioni sul proprio stato di salute e sulla propria esperienza comunicati dal subacqueo ai fini della programmazione dell’immersione.

In tale documento infatti il cliente dichiara di essere in buone condizioni di salute e di avere l’esperienza, l’addestramento e l’equipaggiamento necessario per effettuare quella specifica immersione, di essere stato informato dei rischi e dei requisiti richiesti e di obbligarsi a seguire le direttive del personale del diving  ed, in acqua, dell’eventuale guida, senza eccedere i limiti previamente convenuti.

E’ inoltre evidente che ove da tale documento risulti che il cliente abbia chiesto di utilizzare solo il servizio logistico di superficie (trasporto sul luogo di immersione, messa a disposizione di bombole od altra attrezzatura, assistenza di superficie) e non di effettuare una immersione guidata il centro di immersione non sarà responsabile in alcun modo per le scelte di immersione effettuate dal cliente.

Limiti all’immersione in generale e all’attività individuale che il singolo subacqueo ritiene di porre in essere possono comunque essere imposti solo se giustificati da esigenze oggettive e ragionevoli (ad esempio tutela di determinati siti di interesse archeologico o storico, pericoli derivanti dal traffico marittimo, come ad esempio la vicinanza di porti, esercitazioni militari, etc.)

La prima domanda che chi emana una regolamentazione dovrebbe farsi è: “Occorre veramente una norma e, se sì, in che limiti ?”.   Ciò in quanto imporre alla generalità dei consociati un “dover essere”, con relative sanzioni in caso di inosservanza, deve pur essere giustificato e ragionevole, comprimendosi in tal modo l’autonomia dei singoli, dalla necessità di risolvere conflitti di interesse o da un interesse pubblico sovrastante.

Intervenire normativamente è quasi come somministrare una medicina, da dosare attentamente se non si vogliono produrre effetti perversi e contrari al risultato che si vuole raggiungere.

Da una parte infatti si può essere soggetti all’influenza di lobbies di settore che spingono, non sempre con piena cognizione degli effetti che si andranno realmente a produrre, per una determinata soluzione provocando delle ingiustizie palesi; dall’altra si può indulgere alla tentazione di regolamentare troppo o troppo in dettaglio o comunque in maniera non aderente a quella che è la realtà di fatto, con il risultato di ridurre le nuove norme a una sorta di gride di manzoniana memoria, nella prassi presto dimenticate.

Molti vorrebbero, sull’onda emotiva del momento, norme più restrittive dell’attività subacquea quando accade un incidente, spesso causato da imprudenza, salvo non considerare l’incidenza minima che quell’incidente ha rispetto alle migliaia di immersioni effettuate senza problemi nella stessa zona ed il fatto che le norme invocate andrebbero a limitare proprio queste attività senza probabilmente prevenire incidenti dello stesso tipo.

Tra l’altro, rispetto ad altri settori, non solo il numero degli incidenti relativi all’attività subacquea è estremamente basso, ma non vengono coinvolti direttamente altri subacquei estranei come al contrario accade in superficie o sulle piste da sci, dove il navigante o lo sciatore devono essere tutelati con norme giuridiche dall’attività di altri potenzialmente confliggente con la loro (da qui le regole di comportamento per prevenire gli abbordi in mare, le collisioni sulle piste, etc.).

Ciò nonostante la situazione attuale vede sia l’insistenza da più parti, specie alcune organizzazioni didattiche, su di una regolamentazione dettagliata del settore, sia l’emanazione di provvedimenti, spesso di normazione secondaria, che vanno ad incidere pesantemente sulla libertà di immergersi spesso in aree dove ben altre attività che possono incidere negativamente sull’ambiente o su interessi collettivi o non sono limitate affatto o lo sono in misura minore di quella subacquea.

 

2. Le fonti normative e provvedimentali.

 

Anche se la conseguenza di una loro violazione può essere identica (ad esempio l’irrogazione di una sanzione amministrativa), è opportuno che si conosca, almeno a grandi linee, quella che è la tipologia delle fonti, normative e provvedimentali, che possono dar luogo a degli obblighi del subacqueo, se non altro in quanto sono diversi la loro efficacia ed i mezzi di tutela.

Innanzitutto ci sono gli atti aventi forza di legge (leggi, decreti legge e decreti legislativi nazionali e leggi regionali).

Tali atti producono norme giuridiche che non possono essere in contrasto con quelle costituzionali e con quelle dell’Unione europea ed inoltre legittimano l’adozione di norme regolamentari e di provvedimenti amministrativi.

Le norme aventi forza di legge non possono, qualora siano incostituzionali, essere semplicemente disapplicate dai giudici, ma questi devono, qualora si trovino ad applicarle, sollevare la questione di legittimità costituzionale davanti alla competente Corte Costituzionale che decide la questione, eventualmente espungendo la norma avente forza di legge incostituzionale dall’ordinamento giuridico.

Per arrivare alla dichiarazione di incostituzionalità è quindi necessario che sia già instaurato un contenzioso ed il singolo non può direttamente ed esclusivamente chiedere che quella norma sia dichiarata tale, il che spiega come mai molte norme palesemente incostituzionali ma aventi forza di legge siano dichiarate tali molto tempo, anche anni, dopo la loro emanazione o addirittura non siano mai dichiarate tali.

Né i nostri legislatori, specie quelli regionali, si sono nel tempo fatti scrupolo dall’emanare norme che apparivano già palesemente incostituzionali non sussistendo efficaci controlli preventivi (e la possibilità di Stato o Regioni di chiedere alla Corte costituzionale di accertare se l’atto emanato rientra o meno nella loro potestà legislativa tocca poco o nulla tale aspetto).

Attualmente le leggi possono essere emanate sia dallo Stato che dalle singole Regioni con un riparto per competenza (previsto dall’art. 117 Cost.) essenzialmente per materia con una competenza residuale delle Regioni: in altre parole la Regione può legiferare esclusivamente in tutte le materie che non siano espressamente di esclusiva competenza dello Stato od oggetto di legislazione concorrente in cui lo Stato emana le norme di principio e le Regioni quelle di dettaglio.

Tale riparto di competenze può in concreto comportare regolamentazioni legislative della stessa materia diverse per singola Regione.

Ad un grado inferiore ci sono i regolamenti che non possono contenere norme contrarie alle disposizioni delle leggi, possono essere disapplicati dai giudici se in contrasto con le fonti di grado superiore ed impugnati dai singoli autonomamente davanti ai giudici amministrativi o con un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica ed infine gli usi normativi, che in materie regolate da legge o regolamento, hanno efficacia solo se espressamente richiamati da norme di legge o di regolamenti.

Pur non producendo norme giuridiche in senso stretto sono poi importanti i provvedimenti amministrativi che organi della pubblica amministrazione possono emettere, quando autorizzati a ciò da una norma.

I provvedimenti amministrativi sono dotati di forza autoritativa, possono essere disapplicati dai giudici ordinari se illegittimi e possono essere impugnati dai singoli autonomamente per vizi di legittimità (incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere) davanti ai giudici amministrativi o con un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica (art. 8 d.p.r. 24 novembre 1971, n. 1199) che ha il vantaggio di non richiedere l’assistenza di un avvocato e di avere delle spese minime (nell’ordine di qualche decina di euro).

Particolarmente importante il vizio di eccesso di potere che riguarda l’uso distorto del potere discrezionale della pubblica amministrazione, ad esempio per travisamento dei fatti, per disparità di trattamento, per sviamento rispetto alle finalità per cui era stato conferito il relativo potere, per vizio della motivazione.

I provvedimenti amministrativi più rilevanti per l’attività subacquea sono le ordinanze delle capitanerie di porto emanate ai sensi degli art. 68 (vigilanza sull’esercizio di attività nei porti ed in genere nell’ambito del demanio marittimo), 81 (sicurezza e polizia nei porti, approdi e relative adiacenze) codice della navigazione e 59 del relativo regolamento di attuazione (ordinanze di polizia marittima), nonché da altre specifiche norme (ad esempio per i natanti da diporto utilizzati da centri immersione o di addestramento dal comma 6 dell’art. 27 d.lgs. 171/05), ma possono essere rilevanti anche provvedimenti di altre autorità amministrative (ad esempio ordinanze comunali con cui si limitino o si vietino immersione in particolari grotte sulla terraferma).

Stanno inoltre diventando sempre più importanti, a causa dell’istituzione di nuovi parchi marini ed aree marine protette, i provvedimenti assunti dagli organi di tali enti che limitano o regolamentano l’attività subacquea all’interno di tali aree protette.

Qualora, per la violazione di una norma o di un provvedimento amministrativo, venga irrogata una sanzione, normalmente amministrativa ma possono essere previste anche sanzioni penali, il giudice, in sede di opposizione alla sanzione amministrativa oppure nel procedimento penale, deve comunque valutare la legittimità, anche costituzionale, della norma o del provvedimento e qualora ritenga sussistente un vizio di legittimità disapplicarli tranne che per le norme aventi forza di legge per cui deve rimettere la relativa questione di costituzionalità, purché non manifestamente infondata, alla competente Corte Costituzionale.

A prescindere dall’irrogazione o meno di sanzioni, la violazione di una norma o di un provvedimento legittimi può, ove ci sia il nesso di causalità con l’evento dannoso, concretare il requisito della colpa (definita dall’art. 43 c.p. come negligenza, imprudenza, imperizia o appunto inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline) rilevante per l’eventuale responsabilità civile verso terzi (risarcimento dei danni) o per il requisito soggettivo di eventuali reati colposi.

3. Le leggi regionali sulla subacquea (i testi integrali sono rintracciabili qui http://camera.mac.ancitel.it/lrec/ ).

 

In assenza di una legge quadro statale (la materia delle professioni, sicurezza del lavoro e valorizzazione di beni ambientali, è infatti oggetto di legislazione concorrente fra Regioni e Stato ai sensi del terzo comma del nuovo testo dell’art. 117 Cost. dove solo la determinazione dei principi fondamentali è riservata alla legislazione dello Stato mentre l’adozione di norme di dettaglio e la potestà regolamentare spettano esclusivamente alle Regioni) ci sono 7 regioni, che in varia misura e non senza critiche ed ormai fondati sospetti di incostituzionalità, hanno adottato provvedimenti legislativi inerenti alla subacquea e più precisamente all’attività di guide, istruttori e centri di immersione.

Una di queste regioni, la Liguria, a fine 2010 ha fatto marcia indietro, abrogando la propria legge in materia e si auspica che le altre regioni facciano altrettanto.

Nell’intento di un maggiore controllo delle figure professionali legate al turismo la Regione Toscana con l. r. 30.7.1997, n. 54, prof. guida amb., poi trasfusa nella l. r. 3.4.2000, n. 42, testo unico turismo, ha istituito la professione di guida ambientale, escursionistica, equestre o subacquea, definita come “chi, per professione, accompagna persone singole o gruppi assicurando la necessaria assistenza tecnica, nella visita di ambienti naturali, anche antropizzati, allo scopo di illustrarne gli elementi, le caratteristiche, i rapporti ecologici, il legame con la storia e le tradizioni culturali, e di fornire, inoltre, elementi di educazione ambientale” (art. 118 l. r. Tosc. 3.4.2000, n,. 42 testo unico turismo).

Per essere abilitati a svolgere tale professione occorre, tra l’altro, l’abilitazione conseguita mediante il superamento di un esame sostenuto al termine di un corso di qualificazione professionale, con ulteriori corsi di aggiornamento obbligatori.

Il secondo comma dell’art. 124,  l. r. Tosc. 3.4.2000, n,. 42 testo unico turismo, vieta inoltre l’applicazione di prezzi superiori a quelli pubblicizzati nel materiale pubblicitario ed informativo delle prestazioni professionali.

In sede di attuazione di tale legge le didattiche subacquee sono comunque  riuscite a far considerare i brevetti di guida da esse rilasciate come buona parte del corso di qualificazione professionale.

A parte il necessario requisito della professionalità la legge non ricomprende tutta la tipologia di immersioni subacquee guidate che possono essere anche effettuate per fini diversi da quelli in essa indicati, per cui in tali ipotesi non è necessaria la presenza di una guida ambientale regionale.

Successivamente la Regione Sardegna, con l. r. 26.2.1999, n. 9, disc. oper. tur. sub., ha disciplinato l'attività degli operatori del turismo subacqueo, stabilendo le norme per l'accertamento dei requisiti per l'esercizio, in ambito turistico e ricreativo, delle professioni di istruttore subacqueo e di guida subacquea  e le norme in materia di ordinamento dell'attività dei Centri di immersione subacquea, con esclusione dell'attività sportivo-agonistica e quella svolta dalle associazioni senza scopo di lucro.

A tale scopo si è creato un elenco regionale in cui possono essere iscritti centri di immersione ed istruttori e guide in possesso di brevetti rilasciati da didattiche iscritte nello stesso elenco regionale (praticamente quasi tutte) evitando di seguire il diverso cammino percorso, sia pure solo per le guide, dalla Regione Toscana.

Per la prima volta sono così stati riconosciuti legislativamente, anche se in ambito territoriale limitato, i brevetti rilasciati dalle didattiche il cui possesso è anche condizione necessaria per poter usufruire dei servizi dei centri di immersione.

Il primo comma dell’art. 2 della legge definisce come immersione subacquea a scopo turistico e ricreativo l'insieme delle attività ecosostenibili volte all'osservazione e alla salvaguardia dell'ambiente marino sommerso, nelle varie forme diurne o notturne. Tali attività, se effettuate con autorespiratore, possono essere esercitate, entro i limiti della curva di sicurezza senza soste obbligatorie di decompressione e a profondità non eccedenti i 40 metri, da persone in possesso di brevetto subacqueo.

Inutile evidenziare che detto limite alle immersioni è di fatto ampiamente inosservato, essendo solo una pia illusione del legislatore regionale che in Sardegna vengano effettuate solo immersioni senza decompressione ed entro i 40 metri di profondità.

Di recente la stessa Regione ha emanato la legge regionale 18 dicembre 2006 n. 20 che avendo l’obiettivo di riordinare le professioni turistiche di accompagnamento e dei servizi definisce (art. 4) come “guida turistica sportiva chi per professione accompagna persone singole o gruppi di persone in attività turistico-sportive per le quali è richiesta la conoscenza e l'utilizzo di particolari tecniche secondo le direttive, le linee guida e le tabelle di specializzazione adottate con deliberazione della Giunta regionale, previo parere della Commissione consiliare competente per materia” specificando che “appartengono alla categoria di guida turistica sportiva le guide subacquee e gli istruttori subacquei di cui alla legge regionale 26 febbraio 1999, n. 9 (Norme per la disciplina dell'attività degli operatori del turismo subacqueo)” e stabilendo che tali funzioni possono essere esercitate mediante iscrizione in un  registro professionale per cui sono requisiti minimi, nel caso che ci interessa (art. 5) “titoli rilasciati da organismi riconosciuti ed individuati nelle direttive e linee guida stabilite con successiva deliberazione della Giunta regionale, previo parere della Commissione consiliare competente per materia, più tre mesi effettivi, anche non continuativi, di tirocinio operativo certificato, secondo le modalità previste nell'articolo 7, per ciascuna delle specialità per le quali si richiede l'iscrizione” oltre (art. 6) a) maggiore età; b) cittadinanza italiana o di altro paese membro dell'Unione europea (sono equiparati i cittadini extracomunitari in regola con le leggi dello Stato); c) godimento dei diritti civili; d) idoneità psico-fisica all'esercizio della professione.

Per la guida turistica sportiva la certificazione di tirocinio (art. 7) deve essere rilasciata, per ciascuna delle specialità individuate con deliberazione della Giunta regionale, di cui alla lettera c) del comma 2 dell'articolo 5, da un istruttore abilitato ed iscritto nel registro e deve attestare la pratica dell'attività di istruzione per ciascuna disciplina per il periodo indicato dalla medesima lettera c) in affiancamento all'istruttore professionista.

Tale legge ha inoltre abrogato i commi 7 e 10 dell'articolo 7 e gli articoli 9 e 10 della legge regionale 26 febbraio 1999, n. 9 (Norme per la disciplina dell'attività degli operatori del turismo subacqueo) concernenti alcuni aspetti secondari per l’iscrizione all’elenco regionale e la Commissione Regionale.

E’ poi intervenuta la Regione Liguria con l. r. 4 luglio 2001, n. 19, disc. oper. tur. sub, ora abrogata, che disciplinava l'attività degli operatori del turismo subacqueo e detta norme per l'accertamento dei requisiti per l'esercizio, anche a scopo professionale, delle attività di istruttore e di guida subacquea, dei centri di immersione e di addestramento subacquei e delle associazioni senza scopo di lucro definendo, all’art. 2,  l’immersione subacquea a scopo turistico e ricreativo come l'insieme delle attività ecosostenibili volte all'osservazione dell'ambiente marino sommerso, nelle varie forme diurne e notturne. Tali attività, se effettuate con autorespiratore, devono essere esercitate da persone in possesso di brevetto subacqueo ed entro i limiti e con le procedure e gli standard operativi previsti dal brevetto stesso. 

Veniva quindi a cadere la non applicabilità della legge agli istruttori ed alle guide non professionisti e, se il brevetto non lo prevede, il limite dei 40 metri in curva previsto invece in Sardegna.

Gli istruttori e le guide, così come i centri di immersione e di addestramento e le associazioni, dovevano iscriversi ad un elenco regionale ma per gli istruttori e le guide per farlo era sufficiente (oltre ad altri requisiti minori tipo la copertura assicurativa per la responsabilità civile e l’idoneità psico fisica) che fossero in possesso di un brevetto delle didattiche iscritte in una sezione dell’elenco ed in fase di prima applicazione di una delle didattiche espressamente menzionate nella legge (praticamente tutte quelle esistenti al momento della sua emanazione).

Oltre alle sanzioni amministrative previste tutto ciò comportava anche, sul piano contrattuale, che alla guida od all’istruttore non iscritti nell’elenco avrebbe potuto applicarsi l’art. 2231 c.c. per cui “quando l’esercizio di un’attività professionale è condizionata all’iscrizione in un albo o elenco, la prestazione eseguita da chi non è iscritto non gli dà azione per il pagamento della retribuzione”.

Inoltre il contratto concluso per un’immersione avente caratteristiche (ad esempio profondità) diverse rispetto ai limiti del brevetto del cliente avrebbe configurato una violazione di norma imperativa con la conseguente nullità di quest’ultimo (né è possibile la sostituzione automatica di clausole, variandosi in tal modo l’oggetto stesso del contratto: inoltre se fosse stata convenuta, ad esempio, un’immersione su un relitto a 40 metri di profondità ed il limite di brevetto del cliente è di 30 metri non sarebbe stato certo possibile limitare l’immersione a 30 metri nel blu).

Il recepimento, sostanzialmente in bianco, dei limiti, le procedure e gli standard operativi previsti dalle didattiche per i rispettivi brevetti destava più di qualche perplessità sotto il profilo della ragionevolezza di tali norme che, in caso, avrebbero concretato una violazione dell’art. 3 Cost. e l’intera legge era dettata da esigenze “protezionistiche” ponendo tra l’altro limiti all’esercizio del lavoro con violazione del primo comma del nuovo art. 120 Cost.

Oltretutto la Regione aveva modificato, circa un anno prima dell’abrogazione, la legge imponendo un contributo a carico degli iscritti il cui ammontare era sicuramente superiore alle spese per la tenuta degli elenchi ed in pratica tutto ciò si era concretato nell’imposizione di obblighi e balzelli sostanzialmente inutili.

Si rimane comunque perplessi, anche considerando l’attuale orientamento negativo comunitario in materia di albi ed elenchi professionali e di autorizzazioni amministrative a svolgere attività di impresa, di fronte ad un imbrigliamento della iniziativa economica privata (testimoniata anche dalle lungaggini burocratiche che si sono avute per l’inserimento di ulteriori didattiche non comprese nell’elenco iniziale) in una materia tutto sommato estremamente specifica e solo marginalmente dettato da esigenze di sicurezza dei praticanti l’attività subacquea.

Che leggi regionali siffatte siano palesemente incostituzionali è divenuta una certezza dopo Corte Cost. 8 febbraio 2006, n. 40 http://www.liberisub.it/cost402006.pdf  che ha dichiarato incostituzionale proprio un’altra legge della Regione Liguria (la n. 18 del 2004 recante norme regionali sulle discipline bionaturali per il benessere e molto simile per il contenuto a quella sulla subacquea) in quanto “la potestà legislativa regionale nella materia concorrente delle «professioni» deve rispettare il principio secondo cui l'individuazione delle figure professionali, con i relativi profili ed ordinamenti didattici, e l'istituzione di nuovi albi  è riservata allo Stato. Tale principio, al di là della particolare attuazione ad opera di singoli precetti normativi, si configura infatti quale limite di ordine generale, invalicabile dalla legge regionale”. E lo stesso principio la Corte aveva enunciato con sentenza del 30 settembre 2005 n. 355 per un legge della regione Abruzzo in tema di amministratori di condominio http://www.liberisub.it/cost3552005.pdf: “l'individuazione delle professioni, per il suo carattere necessariamente unitario, è riservata allo Stato, rientrando nella competenza delle regioni la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale.
Esula, pertanto, dai limiti della competenza legislativa concorrente delle regioni in materia di professioni l'istituzione di nuovi e diversi albi (rispetto a quelli istituiti dalle leggi statali) per l'esercizio di attività professionali, avendo tali albi una funzione individuatrice delle professioni preclusa in quanto tale alla competenza regionale”. Tale giurisprudenza della Corte Costituzionale è stata altresì confermata dalla sentenza n. 424 del 19 dicembre 2006 in materia di musicoterapisti.

Ciò è ancora più certo con l’emanazione del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 30 pubblicato sulla G.U. n. 32 dell’8 febbraio 2006 che disciplina i principi fondamentali in materia di professione a cui si deve attenere l’attività legislativa delle regioni.

Il terzo comma dell’art. 1 di tale decreto legislativo prevede espressamente che “la potestà legislativa regionale si esercita sulle professioni individuate e definite dalla normativa statale”, il primo comma dell’art. 2 prevede che “le regioni non possono adottare provvedimenti che ostacolino l’esercizio della professione” e l’art. 4 sancisce: “L’accesso all’esercizio delle professioni è libero, nel rispetto delle specifiche disposizioni di leggi. La legge statale definisce i requisiti tecnico-professionali e i titoli professionali necessari per l’esercizio delle attività professionali che richiedono una specifica preparazione a garanzia di interessi pubblici generali la cui tutela compete allo Stato. I titoli professionali rilasciati dalla regione nel rispetto dei livelli minimi uniformi stabiliti dalle leggi statali consentono l’esercizio delle attività professionali anche fuori dai limiti territoriali regionali”.

Con sentenza del 2 marzo 2007 n. 57 http://www.liberisub.it/cost200758.pdf  (in tema di registro degli amministratori di condominio istituito dalla Regione Marche) la Corte Costituzionale ha chiarito, tra l’altro implicitamente confermando la legittimità costituzionale del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 30 da essa espressamente richiamato, che non si può addivenire ad una conclusione diversa anche qualora le norme regionali non precludessero l’esercizio dell’attività individuata e soprattutto  che anche la sola istituzione di un registro professionale e la previsione delle condizioni per l’iscrizione ad esso hanno già di per sé una funzione individuatrice della professione, preclusa alla competenza regionale, vanificando così anche il tentativo di sostenere che potesse rientrare nella potestà regionale l’istituzione di meri elenchi o registri a carattere “dichiarativo” ed “accertativo” relativi a professioni non ordinate in ambito statale. La stessa Corte ha infine chiarito con la sentenza n. 300 del 20 luglio 2007 (in riferimento a due leggi delle regioni Liguria e Veneto sulle discipline bionaturali) che l'incostituzionalità di tali norme permane anche se esse vengano giustificate con la tutela dei consumatori.

Da ultimo la Corte con sentenza n. 93 del 2008 http://www.liberisub.it/cost200893.pdf ha ribadito che "più volte questa Corte, chiamata a scrutinare - con riferimento alla dedotta violazione del riparto di competenze in materia di professioni previsto dall'art. 117, terzo comma, Cost. - la legittimità costituzionale di leggi regionali volte a disciplinare l'ordinamento di cosiddette "professioni emergenti", ha precisato che «la potestà legislativa regionale nella materia concorrente delle professioni deve rispettare il principio secondo cui l'individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e titoli abilitanti, è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, allo Stato, rientrando nella competenza delle Regioni la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale. Tale principio, al di là della pa rticolare attuazione ad opera dei singoli precetti normativi, si configura quale limite di ordine generale, invalicabile dalla legge regionale [.]. Da ciò deriva che non è nei poteri delle Regioni dar vita a nuove figure professionali» (sentenze n. 300 e n. 57 del 2007, n. 424 e n. 153 del 2006) non rilevando, a tal fine, che esse rientrino o meno nell'ambito sanitario (sentenza n. 355 del 2005).

A tale considerazione, di carattere generale, questa Corte ha aggiunto, quale indice sintomatico della istituzione di una nuova professione, quello costituito dalla previsione di appositi elenchi, disciplinati dalla Regione, connessi allo svolgimento dell'attività che la legge regionale veniva a regolamentare. Ha, infatti, affermato che «l'istituzione di un registro professionale e la previsione delle condizioni per l'iscrizione ad esso hanno, già di per sé, una funzione individuatrice della professione, preclusa alla competenza regionale» (sentenze n. 300 e n. 57 del 2007 e n. 355 del 2005), anche prescindendo dal fatto che la iscrizione nel suddetto registro si ponga come condizione necessaria ai fini dell'esercizio della attività da esso contemplata"

E’ quindi palesemente affetto da illegittimità costituzionale anche il recente tentativo sopra citato effettuato dalla Regione Sardegna con la legge 20/2006 che oltretutto include del tutto arbitrariamente guide e (sic ) istruttori subacquei nella figura della guida turistica sportiva.

Una dichiarazione di incostituzionalità di siffatte leggi regionali sulla subacquea è quindi solo questione di tempo e soprattutto di occasione, occasione che potrebbe essere data da un’opposizione in sede giudiziale di qualcuno a seguito dell’irrogazione delle sanzioni previste da tali leggi.

Per quanto riguarda la regione Liguria è comunque intervenuta la legge regionale 29 dicembre 2010 n. 23 (disposizioni collegate alla legge finanziaria 2011) che prevede all'articolo 17, comma 3, l'abrogazione della legge regionale 4 luglio 2001, n. 19 (norme per la disciplina dell'attività degli operatori del turismo subacqueo) e successive modifiche e integrazioni.

E’ stata quindi fatta giustizia di norme inutili e palesemente incostituzionali e si auspica che la Liguria abbandoni definitamente tale strada.

Nel merito va anche considerato che, rispetto alle altre Regioni che non hanno adottato simili iniziative legislative, non si sono registrate significative riduzioni di incidenti né aumenti di standard di servizio, mentre in alcune aree della regione Liguria, come ad esempio Portofino, sono significativamente aumentati, anche per la concomitante presenza di altri fattori, i costi delle immersioni.

Non è quindi azzardato sostenere che leggi di questo tipo sono del tutto inutili, oltre a creare vincoli, oltretutto di natura squisitamente burocratica, in sé irragionevoli.

E’ vero che si tratta di leggi che nominalmente non interferiscono con l’attività individuale, riguardando l’insegnamento e le sole immersioni guidate, ma è anche vero che vengono prese come pretesto da molti centri di immersione per rifiutarsi di offrire il solo supporto tecnico logistico senza l’uso di guide.

Fortunatamente, anche grazie alla nostra attività, le Capitanerie hanno recepito l’importanza di autonomizzare l’erogazione del solo servizio di supporto tecnico di superficie (http://www.liberisub.it/capitanerie.htm ) e così ha fatto lo stesso Ministero dell’Ambiente con il regolamento dell’Area Marina protetta di Portofino pubblicato sulla gazzetta ufficiale del 4 agosto 2008 n. 181 che ha sancito che anche nelle aree protette non è obbligatorio effettuare immersioni guidate. A questo punto l’ordinanza della Capitaneria di Genova relativa alle immersioni sulla Haven, di dubbia legittimità nella parte in cui prescrive l’obbligo di guida (obbligo assurdo considerata anche la profondità del sito) ha le ore contate e si auspica che la Capitaneria voglia modificarla prima di fare brutte figure in sedi giurisdizionali, magari in opposizioni a sanzioni amministrative, tenuto conto che nella realtà dei fatti è alquanto disattesa sostanzialmente.

Altre Regioni, fortunatamente poche ed ormai in netta minoranza, hanno seguito questa criticabile strada nel 2004, spinte evidentemente dalle stesse lobbies ed ora si auspica che seguano l’esempio della Liguria nell’abrogarle.

La Regione Sicilia (legge n. 8 del 3 maggio 2004), sulla falsariga della Regione Toscana, ma senza prevedere dei veri e propri esami, ha disciplinato l’attività di guida subacquea definendo come tale “chi accompagna in itinerari subacquei, singoli o gruppi, di massimo sei persone, in possesso di  brevetto subacqueo riconosciuto descrivendo prima dell'immersione il percorso, le caratteristiche della biologia, della flora e della fauna marina e fornendo significative informazioni sulle corrispondenti zone emerse.”

Per tale attività, se esercitata stabilmente nella Regione,  è necessario iscriversi in un albo regionale e l'iscrizione all'albo è subordinata al conseguimento di un brevetto sportivo di livello equivalente a tre stelle CMAS (Confèdèration Mondiale des Activitès Subacquatiques) o di corrispondente livello per altre federazioni.

E’ quindi evidente l’illegittimità costituzionale della legge che demanda ad organizzazioni private (il termine federazione sembrerebbe tra l’altro escludere le didattiche non “federali”) il rilascio di un titolo abilitativo per l’iscrizione all’albo.

Al legislatore siciliano viene solo il dubbio che tale riserva possa contrastare con le disposizioni dell’Unione Europea tant’è che prevede che “in ossequio agli articoli 49 e 50 del Trattato istitutivo della Comunità europea, le disposizioni di cui alla presente legge non si applicano, fermo restando quanto previsto all'articolo 1, commi 2 e 3, ai cittadini di Stati membri dell'Unione europea, diversi dall'Italia, che esercitano, in regime di libera prestazione di servizi, le professioni turistiche disciplinate dalla presente legge.

I cittadini italiani visti quindi come cittadini di serie B rispetto a quelli comunitari non italiani !

La Regione Calabria (legge n. 17 del 18 maggio 2004) ha invece peggiorato l’impostazione ligure che ricalca quasi completamente istituendo anche un inutile e pletorico Osservatorio Regionale per il turismo subacqueo con la finalità di monitorare costantemente l’applicazione della legge composto da a) un Dirigente regionale delegato dall’Assessorato regionale al turismo; b) un Dirigente regionale delegato dall’Assessorato regionale all’ambiente; c) un Dirigente regionale delegato dall’Assessorato regionale ai trasporti; d) un rappresentante designato dalle Associazioni iscritte all’Albo regionale di cui all’art. 3, comma 1, lettera d), della presente legge; e) il Presidente del Consorzio CALABRIA SUB o suo delegato; f) tre rappresentanti delle associazioni degli albergatori della Calabria; g) un rappresentante delle società di gestione aeroportuale degli aeroporti della Regione Calabria.

Buona ultima la Regione Emilia Romagna che il 27 maggio 2008 ha emendato lo “zibaldone” della l. r. 1 febbraio 2000 n. 15 (norme per la disciplina delle attività turistiche di accompagnamento) inserendo come “specializzazione” della guida ambientale escursionista definita come colui ”che per attività professionale, illustra a persone singole e gruppi di persone gli aspetti ambientali e naturalistici del territorio, conducendoli in visita” il turismo subacqueo per accompagnare nelle immersioni persone singole o  gruppi, dopo avere fornito loro informazioni sul sito subacqueo e sulle caratteristiche della biologia, della flora e della fauna marina. Prima  dell'immersione l'accompagnatore dovrà accertarsi che ogni singola persona del gruppo sia in possesso di brevetto rilasciato da riconosciute  associazioni subacquee nazionali, che verranno specificate nella delibera di Giunta di cui all'articolo 3, comma 10, che ne attesti l'addestramento  almeno di primo livello in immersioni subacquee nelle varie forme diurne e notturne, anche con l'ausilio di apparecchiature atte a consentire la  respirazione durante l'immersione, ed entro i limiti di profondità  consentiti dal brevetto stesso”.

La cosa assurda di tale modifica alla precedente legge regionale è che come requisiti della guida vengono richiesti a) l'idoneità all'esercizio dell'attività di guida  ambientale-escursionistica; b) il possesso del brevetto di istruttore subacqueo rilasciato da  riconosciute associazioni subacquee nazionali che verranno specificate nella  delibera di Giunta di cui all'articolo 3, comma 10; c) l'aver frequentato con profitto un corso per primo intervento (Dan oxigen) o equipollente.

Oltre quindi a cadere  negli errori  più generali di queste assurde legislazioni regionali, il legislatore dell’Emilia Romagna ignora che il brevetto di guida è diverso da quello di istruttore e se quest’ultimo di norma è anche guida non è vero il contrario.

Va infine menzionato per completezza il terzo comma dell’art. 8 della legge regionale Lombardia 8 ottobre 2002 n. 25 come sostituito dall'art. 4 della regionale n. 3 del 24 marzo 2003 che dispone che: "Nelle piscine e specchi d'acqua interni aperti al pubblico dietro pagamento di corrispettivi a qualsiasi titolo anche sotto forma di quote sociali di adesione, i corsi di nuoto, di nuoto pinnato, di nuoto sincronizzato, di tuffi, di pallanuoto, di salvamento e di subacquea devono essere svolti alla costante presenza sia di istruttori in possesso dei brevetti e delle abilitazioni all'insegnamento rilasciati da parte dei competenti uffici della pubblica amministrazione, degli enti competenti riconosciuti da queste ultime o da parte delle competenti federazioni nazionali riconosciute o affiliate al CONI, sia di almeno un operatore abilitato a prestare i primi soccorsi nel caso di infortuni o malori”.

E’ evidente come la lettera di tale norma, forse per disattenzione del legislatore, dato che in Lombardia non esistono “enti competenti riconosciuti” a tal fine “dai competenti uffici della pubblica amministrazione”, richiederebbe la presenza, nei luoghi indicati dalla legge, di un istruttore subacqueo in possesso di un brevetto rilasciato unicamente “ dalle competenti federazioni nazionali riconosciute o affiliate al CONI” e ciò è un ulteriore esempio dei problemi che un legiferare affrettato ed in gran parte inutile può porre in concreto.

 

4. Le ordinanze delle Capitanerie ( i testi integrali sono rintracciabili qui http://www.guardiacostiera.it/cpdinamic/index.cfm ) ed i regolamenti dei parchi (rintracciabili anche nei rispettivi siti web).

 

Le ordinanze delle Capitanerie di Porto, sia pur nella loro diversità ancora molto accentuata sul territorio che costringe gli interessati ad informarsi sempre presso la locale Capitaneria su quali siano le disposizioni vigenti, hanno avuto l’indubbio merito storico di prevedere delle norme di sicurezza per i centri di immersione quali l’obbligo di avere una apparecchiatura per la somministrazione di ossigeno, un adeguato mezzo di comunicazione, bombole di emergenza, dei rapporti minimi fra guida e subacquei guidati e, di recente, di sancire l’obbligo per le unità in transito di tenersi almeno a 100 metri dalle segnalazioni di subacquei in immersione moderando la velocità.

Dopo incomprensioni iniziali collegate ad ormai superate ordinanze della Capitaneria di Genova non più in vigore è stato messo a punto un modello di ordinanza generale ( http://www.liberisub.it/capitanerie.htm ) che si auspica sarà presto esteso a tutto il territorio nazionale, sia pure con le specificità locali.

Purtroppo molte Capitanerie stanno tardando ad uniformarsi e qualcuna anzi ha commesso vecchi errori per cui si auspica una attività di coordinamento del Comando Generale più incisiva, sia pure nel rispetto dell’autonomia delle singole capitanerie che non può provocare però una differente incisività su diritti soggettivi ed interessi legittimi dei cittadini.

Una situazione analoga si ha per i regolamenti ed i provvedimenti dei parchi marini, specie per quelli alla cui gestione non partecipano associazioni ambientaliste e/o gruppi di utenti subacquei, categorie sicuramente interessate alla tutela dell’ambiente.

Mentre i parchi marini e le aree marine protette, introducendo significative limitazioni alla pesca, stanno facendo molto per preservare e ripopolare molte zone, si registrano infatti immotivate discriminazioni verso l’attività subacquea, spesso vista in posizione di subalternità addirittura a residue attività di pesca poste in essere da semplici villeggianti settimanali oppure soggetta a limitazioni e regole difficilmente comprensibili, come ad esempio, l’obbligo  di rivolgersi esclusivamente a centri di immersione locali, già una volta dichiarato illegittimo da Tar Sardegna 1120/2002.

Anche in questo settore le soluzioni in concreto adottate non convincono e spesso sono evidentemente preordinate alla difesa di interessi economici particolari e locali.

Di particolare interesse è stata comunque di recente la presa di posizione del Ministero dell’Ambiente che consente nelle aree protette anche l’effettuazione di immersioni non guidate (si veda il D.m. 1 luglio 2008 Approvazione del Regolamento di esecuzione ed  organizzazione dell'area marina protetta «Portofino» pubblicato in Gazzetta Ufficiale 4 agosto 2008 n. 181).

 

5. Una legge quadro per la subacquea.

 

Nella XIII legislatura erano pendenti sei proposte (anch’esse spinte da interessi lobbistici in quanto ricalcanti, per il settore non relativo agli operatori tecnici subacquei, il contenuto di quelle regionali) di legge quadro che riguardavano la subacquea, di cui solo la  n. C1698, già approvata in un testo simile nella XII legislatura da una delle due Camere, ha concluso l’esame in commissione alla Camera, rimanendo ivi fortunatamente arenata fino alla conclusione della legislatura grazie anche alle proteste di molti “liberi” subacquei italiani e della nostra associazione.

Di alcune di tali proposte desta innanzitutto non poche perplessità la commistione, in un unico provvedimento, dell’attività più propriamente “professionale” svolta dagli operatori tecnici subacquei con quella a scopo turistico o ricreativo.

Si tratta infatti di due settori totalmente distinti e con esigenze diverse e se il settore dei lavori subacquei necessita di regole giuridiche e tecniche rigorose a salvaguardia soprattutto dell’interesse dei lavoratori, ciò non è vero per il settore turistico e ricreativo dove ben altre sono le necessità e problematiche.

Si è probabilmente tentato di un tentativo per confondere le acque e far pensare che su una proposta unitaria ci fosse il consenso, inesistente, delle relative basi.

Per il resto tutte le proposte sono simili alla legge già vigente nella Regione Liguria, per cui rimangono le perplessità già esposte ed i fondati sospetti di incostituzionalità già evidenziati.

In particolare per una proposta addirittura sponsorizzata da una didattica tecnica durante un convegno, presentata al Senato quasi a fine legislatura, essa comprende, in maniera amplissima, come del resto la proposta di modifica sponsorizzata  dalle principali didattiche ricreative alla C1698,  “le attività finalizzate all’addestramento, ad escursioni subacquee, nonché a qualunque altra iniziativa riconducibile all’utilizzazione da parte del subacqueo del proprio tempo libero”, con unica esclusione delle attività di tipo agonistico (art. 14 p.l.).

Costituisce quindi elemento di preoccupazione la previsione, anche se a livello definitorio, che “tali attività, se effettuate con autorespiratore, possono essere svolte solo da persone in possesso di Licenza/Brevetto di immersione, rispettando i limiti di profondità, procedure e standard operativi stabiliti dalla stessa Licenza/Brevetto ed organizzazione rilasciante” (art. 14 p.l.).

Ciò in quanto si obbligano i singoli (anche indirettamente attraverso il divieto imposto dalla proposta ai titolari di centri di immersione di prestare la loro opera, e quindi qualsiasi servizio compreso il mero supporto di superficie, a chi sia stato inosservante dei limiti imposti dalla Licenza/Brevetto e l’obbligo di segnalazione alle “autorità competenti su violazioni di standard e procedure riscontrate a subacquei rispetto a quelle imposte dalla loro Licenza/Brevetto” con possibilità di sospendere o revocare la Licenza/Brevetto  secondo quanto previsto dall’art. 24 p.l.), sia  a possedere un brevetto, sia soprattutto ad attenersi scrupolosamente a tutti gli standard didattici per questo previsti, con la conseguenza di dover fare un corso specifico per ogni minima variazione di modalità di immersione o di particolare attrezzatura.

E ciò in un panorama concreto che vede un notevole numero di organizzazioni didattiche private che operano, specie nei corsi successivi al primo, con modalità tecniche assai diverse fra di loro e con corsi spesso del tutto eterogenei, dove sarebbe palesemente assurdo costringere, ad esempio, un subacqueo, il cui brevetto preveda, per immersioni fuori curva di sicurezza, l’uso di una decompressiva, a fare un ulteriore corso con un’altra didattica per fare a meno, in alcune immersioni, magari leggermente fuori curva, di quest’ultima.

Di fronte a tale compressione dell’autonomia del singolo subacqueo con gli ovvi dubbi di costituzionalità si registrano altresì degli obblighi meramente formali e burocratici sostanzialmente inutili ma fonte di costi, poi da riversare necessariamente sui clienti, in capo ad istruttori, guide e centri di immersioni, quali l’iscrizione in elenchi regionali, la certificazione ISO 9111-2000 od equivalenti (per i centri di immersione esclusi quelli gestiti da associazioni con ulteriore disparità di trattamento fra queste due realtà ed inevitabili distorsioni di mercato), mentre sembrerebbe limitare ingiustificatamente la possibilità di costituire nuove didattiche la necessità per il legale rappresentante o preposto di una didattica di aver operato “con qualifica almeno di direttore di corso (od equipollente) da almeno 3 anni in organizzazione didattica iscritta all’elenco nazionale”.

Unico controllo esterno per gli standard didattici una “Commissione di tecnici del settore che redige gli standard operativi minimi e massimi di ogni attività espletata dalle suddette organizzazioni didattiche” formata da almeno 1 rappresentante della categoria degli operatori subacquei ed iperbarici di basso fondale, 1 rappresentante della categoria degli operatori subacquei ed iperbarici di alto fondale, 1 rappresentante della categoria turistico-ricreativa entro i 40 metri in curva di non-decompressione, 1 rappresentante della categoria turistico-ricreativa oltre i 40 metri ed oltre la curva di non-decompressione, un medico iperbarico, 1 ricercatore universitario del settore subacqueo (art. 32 p.l.).

La proposta di legge tace però completamente sul numero complessivo di membri di una tale Commissione e sul suo funzionamento, nonostante la sua importanza per l’operatività in concreto della legge stessa e mancano elementi che ne garantiscano sufficientemente la terzietà rispetto alle organizzazioni didattiche esistenti.

Così come è la proposta sembrerebbe quindi destare più di una perplessità sotto il profilo del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. e produrre, anche considerando l’attuale restrittivo orientamento comunitario in materia di albi ed elenchi professionali e di autorizzazioni amministrative a svolgere attività di impresa, un eccessivo imbrigliamento della iniziativa economica privata in una materia tutto sommato estremamente specifica e solo marginalmente dettato da esigenze di sicurezza dei praticanti l’attività subacquea.

Critiche non dissimili vanno fatte alle altre proposte che sono state  all’esame del Parlamento, la cui approvazione comporterebbe un notevole appesantimento degli oneri formali (ma non sostanziali a parte quelli economici) per guide ed istruttori, un aumento nel breve periodo della domanda di corsi dell’area cosidetta rek – tek (per consentire a chi già fa un certo tipo di immersioni a profondità intorno ai 55 metri con un minimo di decompressione di continuarle a fare) e una diminuzione, nel medio periodo, sia di guide ed istruttori che dei praticanti assidui con immaginabili conseguenze negative sul settore.

In particolare pastoie per nuove didattiche come ad esempio imporre che siano “direttamente aderenti alle organizzazioni confederative di livello internazionale” ma pur sempre private”, “oppure che abbiano una attività consolidata avviata almeno due anni prima della data di entrata in vigore della presente legge, nonché presenza di istruttori in almeno il settanta per cento del territorio nazionale alla data di entrata in vigore della presente legge” introdurrebbero una autoreferenzialità senza alcun controllo di tipo pubblicistico che peraltro neanche sarebbe per assurdo idoneo a giustificare siffatte significative limitazioni di concorrenza.

Se poi si riflette che la normativa di dettaglio e soprattutto i regolamenti attuativi della legge verrebbero necessariamente emanati dalle singole Regioni è evidente che si innesterebbero sulla legge quadro ulteriori inutili complicazioni.

Francamente stupisce che ci sia ancora chi vede la panacea di tutti mali nel redigere degli elenchi con requisiti di accesso meramente formali senza alcun controllo di merito affidato ad una autorità veramente indipendente invece che nel far circolare liberamente le informazioni sulle tecniche di immersione e di consentire senza particolari restrizioni formali l’affacciarsi di nuove capacità imprenditoriali (come peraltro avvenuto fino ad oggi e che hanno portato all’affacciarsi sul mercato di nuove ed ora notissime didattiche) nell’insegnamento subacqueo lasciando al mercato e ad una corretta informazione il compito di selezionare.

L’istituzione, per guide ed istruttori, di elenchi abilitativi, ove comunque non fosse ritenuta sufficiente l’attuale autoregolamentazione di fatto del settore, dovrebbe comunque passare, per sottrarsi ad un vaglio di legittimità costituzionale, per un procedimento di iscrizione e controllo dell’idoneità del singolo di stampo pubblicistico che dia garanzie di imparzialità rispetto alle organizzazioni didattiche e quindi attraverso un esame simile a quello per il rilascio delle patenti di guida o nautiche.

Il fallimento della legge regionale ligure, riconosciuto dalla stessa regione che la ha abrogata, dovrebbe essere un esempio per il legislatore nazionale.

Si auspica che anche nell’attuale e nelle prossime legislature venga impedita l’emanazione di leggi siffatte anche se puntuale spunta il deputato o il senatore che presenta (fuorviato da questa o quella lobby) un progetto di legge analogo a quelli sopra descritti o addirittura peggiore.

Nell’ultima legislatura è stato addirittura presentato un progetto di legge, alla Camera, doppiamente assurdo: innanzitutto perché pretende di disciplinare insieme due realtà completamente diverse tra loro come la subacquea professionale degli operatori tecnici subacquei (ots) e quella turistico – ricreativa e poi perché pretenderebbe di imporre un brevetto subacqueo a tutti, anche in immersioni private.

E’ evidente per la parte che ci interessa, vale a dire la subacquea turistica – ricreativa, che è stato ispirato dalle didattiche (o meglio da alcuni esponenti di queste) nell’intento non solo di operare senza controlli ma di imporre i propri standard a tutti. Qui http://www.liberisub.it/commentodisegnoleggesubacquea.pdf  un commento più dettagliato.

Fortunatamente tale progetto ha suscitato lo sdegno della maggior parte dei subacquei praticanti che hanno sommerso di proteste la Commissione Lavoro della Camera e fermato l’iter.

Nell’attuale legislatura, ed a questo punto si capisce quali lobbies siano dietro tutto ciò, quel disegno di legge è stato ripresentato tale e quale alla Camera ed al Senato (si vedano i richiami in home page).

Eppure se proprio si vuole legiferare in merito non ci vorrebbe molto ad elaborare norme utili per la collettività e non per il lucro di pochi: ad esempio http://www.liberisub.it/propostaalternativasubacquea.pdf  !

 

6. Le norme ed i provvedimenti utili per la subacquea.

 

A nostro giudizio, ove si volessero introdurre norme per la subacquea turistico-ricreativa, sarebbe sufficiente unicamente una migliore specificazione di misure di sicurezza peraltro già in gran parte esistenti in pratica (come ad esempio rivedere la normativa in materia di segnalazioni e soprattutto di distanza di rispetto delle imbarcazioni o di somministrazione di ossigeno normobarico in caso di incidente o quella in materia di collaudo di bombole e di acquisto e detenzione di limitate quantità di gas) e definire dei contratti quadro di immersione guidata, stabilendo compiutamente gli obblighi della guida, variabili a secondo del tipo di contratto.

Attualmente infatti c’è troppa incertezza su tale aspetto e nulla vieterebbe, con un adeguato supporto probatorio, di convenire con la guida semplici prestazioni di indicazione sommaria del percorso fino ad arrivare a vere e proprie prestazioni di assistenza e protezione (con contenuti e costi ovviamente diversi).

Anche in questo caso però occorre fare attenzione e la relativa normativa non dovrebbe essere emanata senza un confronto con gli operatori e con chi, come l’Associazione Italiana Liberi Subacquei, ha i mezzi tecnici per prestare all’Amministrazione consulenza, tra l’altro gratuita, per la specifica materia.

Di recente per il regolamento di attuazione al codice della nautica da diporto si è lasciato campo libero ai burocrati ed il risultato è stato quello di misure di sicurezza inappaganti e che hanno necessitato di chiarimenti ( http://www.liberisub.it/chiarimentinautica.pdf ) e probabilmente necessiteranno di integrazioni e modifiche.

Inoltre, per i parchi e le aree protette, dovrebbe essere una volte per tutte chiarito che la subacquea escursionistica è una attività perfettamente ecocompatibile e necessaria per il controllo dell’ambiente sottomarino e previsto non solo che, salvo l’obbligo di ormeggio di imbarcazioni a boe fisse opportunatamente collocate, possa essere esercitata senza limiti nelle zone 2, ma seppure contingentata e con le opportune garanzie, anche nelle zone 1 a riserva integrale, al momento chiuse completamente ai subacquei.

E’ significativo infatti che nelle oasi marine gestite direttamente dal WWF l’unica attività permessa, sia pure nei limiti dovuti alla funzione delle oasi, sia proprio quella dell’escursionismo subacqueo.