ASPETTI LEGALI DEGLI INCIDENTI SUBACQUEI

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Un incidente subacqueo coinvolge, oltre la vittima, anche altri soggetti, siano stati semplici spettatori od abbiano avuto una parte attiva nell’immersione,  nell’incidente o nei soccorsi.

Oggetto del presente scritto sarà quindi quello di esaminare, dal punto di vista strettamente giuridico, quali siano le posizioni dei vari soggetti interessati da un incidente subacqueo.

Innanzitutto coloro che sono completamente estranei all’incidente.

L’art. 593 c.p. impone a chi trovi un corpo umano che sia o sembri inanimato, ovvero una persona ferita o altrimenti in pericolo, di prestare l’assistenza occorrente o di darne immediato avviso all’autorità.

A tale proposito la giurisprudenza ritiene che “non è sufficiente il ferimento o una generica condizione di pericolo, ma è necessario che la ferita o le altre condizioni soggettive siano tali da privare il soggetto della capacità di provvedere a stesso; l'incapacità di autodeterminazione è presunta nell'ipotesi di persona che non dia segni di vita, o che sembri inanimata, e va accertata caso per caso nell'ipotesi di persona ferita o altrimenti in pericolo” (Cass., 3 maggio 1996, Imp.  Mormorale).

Inoltre, nonostante la lettera della norma, non è ritenuto sufficiente limitarsi al dare immediato avviso all’autorità: “solo se non è possibile fornire il soccorso”, in relazione alle concrete circostanze ed alle particolarità qualità e condizioni dell’agente ed ai mezzi di cui esso può disporre “può ritenersi soddisfatto il precetto legislativo con l’avviso all’autorità” (Cass. 22 dicembre 1937, Imp. Rombolà).

Naturalmente non si può richiedere al soccorritore che metta in pericolo la propria od altrui persona.

L’assistenza può ritenersi non occorrente solo quando il ferito o il pericolante sia già convenientemente assistito da altri. Se più sono i “ritrovatori” il dovere di assistenza incombe a ciascuno di essi, specialmente quando gli altri non siano in grado di provvedere (Cass. 19 maggio 1949, imp. Pompeo).

Ove quindi gli astanti violino la norma suaccennata, rischiano, oltre la sanzione penale, di essere chiamati a risarcire i danni provocati dalla loro omissione.

Prima di esaminare le posizioni degli altri soggetti coinvolti, fermo restando che per tutti vale l’obbligo minimo di soccorso sopra descritto e tralasciando eventuali comportamenti dolosi per cui non si può certo parlare di incidente, vanno ricordati brevemente alcuni principi generali.

Aver causato un incidente significa aver posto in essere un comportamento tale che, secondo ciò che comunemente accade, poteva essere prevedibile l’evento dannoso, con la precisazione che non aver impedito un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo (art. 40 c.p.).

Inoltre il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute non esclude il rapporto di causalità a meno che quelle sopravvenute siano state da sole sufficienti a determinare l’evento (art. 41 c.p.), come nel classico esempio dell’infortunato che muore per un incidente stradale in cui era coinvolta l’autombulanza sulla quale veniva trasportato.

Di conseguenza i responsabili dell’incidente, chiamati a rispondere degli eventuali reati colposi, ove ce ne siano i presupposti, o a risarcire il danno, solidalmente nei confronti della vittima ed in relazione all’entità della loro colpa nei rapporti interni, possono essere più d’uno avendo tutti attivamente contribuito a determinare l’evento dannoso.

Perché ci sia responsabilità occorre poi la colpa che sussiste quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (art. 43 c.p.).

Solo in casi espressamente previsti dalla legge e con riferimento alle sole sanzioni civili ci può essere una responsabilità senza bisogno di dover provare una specifica colpa: ad esempio l’art. 2050 c.c. prevede che nell’esercizio di un’attività pericolosa (intendendo come tale quella che lo è per sua stessa natura, per le caratteristiche dei mezzi adoperati o per la sua spiccata potenzialità offensiva: Cass., 16 febbraio 1996, n. 1192) chi cagiona il danno è tenuto al risarcimento se non prova di aver adottato tutte le misure idonee a evitarlo.

E nell’ambito dell’attività subacquea può essere considerata attività pericolosa, al di là delle tradizionali distinzioni fra ricreativo e tecnico, non essendola la subacquea per sua natura, quella posta in essere per determinate caratteristiche dei mezzi impiegati (ad esempio elevate pericolose pressioni parziali dei gas respirati) od in determinate estreme condizioni operative.

Infine, ma solo per le conseguenze civili e non per quelle penali, la responsabilità può essere diminuita dal concorso di colpa della vittima od addirittura esclusa quando i danni avrebbero potuto essere evitati dal danneggiato con l’uso dell’ordinaria diligenza (art. 1227 c.c.).

Ciò premesso esaminiamo prima la posizione dei compagni di immersione.

Questi ultimi, a prescindere dal brevetto posseduto o non posseduto, risponderanno dell’incidente solo quando questo sia stato causato direttamente da una loro colpa non avendo alcun obbligo giuridico di precostituire condizioni di sicurezza dell’immersione.

E solo in casi particolarissimi potrebbe essere ritenuta sussistente la responsabilità del compagno di immersione (ad esempio in caso rifiuti coscientemente – vale a dire senza essere in panico od in altri stati soggettivi particolari - una richiesta di condivisione di gas respiratorio che non lo metta in pericolo).

Diverso è invece il caso della guida o dell’istruttore, intendendosi per tali non coloro che semplicemente possiedano il relativo brevetto e si siano immersi a titolo di amicizia o per caso con la vittima, ma coloro che effettivamente abbiano ricoperto tali ruoli nel corso dell’immersione.

Si tratta infatti di ruoli che presuppongono, anche quando svolti a titolo gratuito, l’assunzione di specifichi obblighi, quasi sempre di fonte contrattuale: ad esempio quella di scegliere il sito di immersione, di guidarla, di garantire condizioni minime di sicurezza per la guida; di non sottoporre l’allievo a stress non adeguati al suo attuale livello di preparazione  per l’istruttore.

Stesso discorso per gli organizzatori dell’immersione, vale a dire per quei soggetti, che senza entrare in acqua hanno direttamente deciso il luogo dell’immersione, il tipo di assistenza e gli altri aspetti logistici: anche per questi ci sarà l’obbligo di non scegliere un sito non adatto per l’esperienza di taluno dei subacquei, etc.

Tali obblighi possono variare secondo i casi concreti: ad esempio bene si potrebbe pattuire che la guida indichi solo il percorso senza l’obbligo di doversi preoccupare della sicurezza del gruppo, etc.

Di conseguenza possono avere un effettivo ruolo in merito i cd. scarichi di responsabilità, vale a dire quelle dichiarazioni che normalmente vengono fatte sottoscrivere dai diving ai clienti.

Non certo per esonerare dalla responsabilità i primi (effetto impedito, a meno di colpa lieve, dall’art. 1229 c.c., ed anche nel caso di colpa lieve dalla normativa a protezione dei consumatori quando applicabile), quanto da una parte per delimitare l’oggetto delle prestazioni (e quindi i relativi obblighi), dall’altra per fornire la prova delle informazioni sul proprio stato di salute e sulla propria esperienza comunicati dal subacqueo ai fini della programmazione dell’immersione.

Per quanto riguarda il brevetto va chiarito che l’esibizione di quest’ultimo altro non è che una prova qualificata delle condizioni di addestramento del sub, prova comunque ottenibile in altri modi, a meno che non esistano specifiche norme che impongano la verifica del suo possesso (attualmente ciò è previsto da alcune leggi regionali e da diverse ordinanze di alcune capitanerie).

A causa dell’atteggiamento di molti magistrati, peraltro non molto condivisibile in quanto non rivolto all’accertamento della vera eziologia dell’incidente e quindi a punire i casi in cui ci sono state effettive violazioni di regole di sicurezza, è comunque più che consigliabile per gli operatori professionali non solo richiedere ai clienti l’esibizione del brevetto ma anche non permettergli immersioni sotto la quota per cui sono stati rilasciati i brevetti stessi.

Una volta che l’incidente è accaduto le sue conseguenze possono essere aggravate dal comportamento colposo dei soccorritori.

In primis di coloro, organizzatori od altro, che avrebbero dovuto predisporre le necessarie cautele (ad esempio ossigeno non disponibile sul luogo dell’immersione, etc,), ma anche di soccorritori professionali.

Ci sono verificati, ad esempio, dei casi in cui anche soccorritori professionalmente preparati quali infermieri o medici sono stati negligenti nel prestare le cure occorrenti (in un caso addirittura un medico ha interrotto, durante il trasporto in autoambulanza, ingiustificatamente la somministrazione dell’ossigeno ed in un altro, nonostante le insistenze degli accompagnatori, non è stato richiesto immediatamente un consulto con un medico iperbarico nonostante gli evidenti sintomi di mdd ritardando l’invio della vittima in un centro specialistico).

Onde evitare di incorrere ad accuse collegate a scarsa diligenza professionale un soccorritore od un medico di pronto soccorso non esperto di simili patologie dovrebbe quanto meno, in caso di incidente a seguito di un’immersione, richiedere un consulto con specialisti, oltre tutto facilmente contattabili anche telefonicamente.